Lo scorso 13 luglio, la splendida Sala Napoleonica (Palazzo Greppi) dell'Università di Milano ha fatto
da cornice
a due importanti incontri: il convegno internazionale “I botanicals per la nutrizione e la salute: dal protocollo
di Nagoya alla cooperazione internazionale” seguito, dal workshop su “Integratori alimentari contenenti botanicals:
dagli aspetti scientifici agli aspetti regolatori”. Entrambi gli eventi sono stati organizzati dall’Università di
Milano (Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari) in collaborazione con SISTE e NFI (Nutrition
Foundation of Italy).
Di seguito, un breve riassunto dei numerosi interventi della giornata.
I BOTANICALS PER LA NUTRIZIONE E LA SALUTE:
DAL PROTOCOLLO DI NAGOYA ALLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Obiettivi dell’incontro approfondire gli aspetti legati alla tradizione d’uso ed al ruolo che le piante svolgono nell’ambito
delle diverse culture e popoli del mondo in termini scientifici ed economici; analizzare come la riscoperta di colture antiche
possa essere, in termini di sviluppo ed innovazione, un importante punto di partenza per soddisfare le nuove esigenze dell’uomo
moderno, sempre più attento ai temi del benessere e della salute; favorire, nel contempo, la cooperazione internazionale.
Sposandosi molto bene con il tema generale di Expo 2015 “Nutrire il pianeta ed energia per la vita”, l’evento ha ricevuto dal
Comune di Milano il patrocinio di “Milano EXPO 2015 per le università”.
Hanno partecipato al convegno, in qualità di relatori, rappresentanti delle istituzioni nazionali e del mondo accademico e
della ricerca, provenienti da Europa, Africa e Asia.
Lo sfruttamento delle risorse genetiche di flora e fauna di un paese rientra, dal 2010, nel “Protocollo di Nagoya (ABS,
Access and Benefit Sharing)” sull’accesso alle risorse genetiche e sull’equa condivisione dei benefici derivanti dal loro
utilizzo. Si tratta di un importante accordo internazionale adottato dalla Conferenza delle Parti della CBD (Convenzione
sulla Biodiversità Biologica) nel corso
della sua X Riunione, il 29 ottobre 2010 a Nagoya, in Giappone. Ha parlato di
questo importante argomento, dai numerosi aspetti applicativi ancora da definire, Anna Maria Maggiore del Ministero
dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha illustrato come il protocollo di Nagoya nasca dalla
necessità di ostacolare fenomeni di appropriazione illecita del patrimonio genetico – animale e vegetale -, al fine
di preservare la biodiversità di un paese, di garantire un uso duraturo delle risorse genetiche e di pervenire ad una
giusta ed equa condivisione dei benefici che derivano dall’utilizzazione delle risorse genetiche tra i paesi ricchi di
biodiversità, generalmente quelli in via di sviluppo ed i paesi industrializzati che sfruttano le risorse genetiche.
Coloro che intendono utilizzare una data risorsa, devono presentare una domanda d’accesso al Paese fornitore, che deve
dare il suo assenso preliminare (PIC, Consenso informato preventivo) all’uso delle proprie risorse genetiche. Inoltre,
tra i paesi fornitori ed i beneficiari dovrà essere firmato un accordo (MAT, Termini reciprocamente concordati) che
definisca le modalità di ripartizione dei benefici ottenuti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. L’Unione
europea ha ratificato il protocollo di Nagoya ad aprile 2014 con il Reg. (UE) 511/2014 (Regolamento (UE) n. 511/2014
del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sulle misure di conformità per gli utilizzatori risultanti dal
protocollo di Nagoya relativo all’accesso alle risorse genetiche e alla giusta ed equa ripartizione dei benefici
derivanti dalla loro utilizzazione nell’Unione (GU europea L 150 del 20.5.2014), che dovrà entrare in applicazione
in tutti i Paesi UE entro ottobre 2015. Il regolamento, che lascia gli Stati membri liberi di gestire le proprie
risorse genetiche, dispone che ogni paese designi una o più autorità competenti per la gestione corretta del
protocollo. L’Italia sta lavorando affinché a ottobre 2015 sia tutto pronto per l’applicazione della convenzione.
Atti non disponibili
In Albania, come illustrato da Alban Ibraliu del Dip. di Scienze e Tecnologie delle piante dell’Università di Tirana, la
flora è molto ricca grazie alle condizioni climatiche favorevoli. Sono 3.250 le specie vegetali identificate, di cui 300
sono classificate come aromatiche e medicinali. Il 95% circa delle piante spontanee o coltivate sono esportate all’estero.
Nel 1996 è stata istituita in Albania la collezione genetica delle specie vegetali, nella quale sono state inventariate
piante appartenenti a 498 generi. Tra le coltivazioni di piante aromatiche più diffuse in questo paese vi sono salvia e
rosmarino. In questi ultimi anni si è riusciti a completare la mappatura di tutte le aree in cui queste specie sono
coltivate, al fine della corretta identificazione delle diverse varietà e sottospecie e per migliorarne le caratteristiche
genetiche. In Albania, fino al 1992, non vi era alcun controllo da parte del governo sulle esportazioni. Ciò ha portato a una
raccolta indiscriminata delle specie vegetali ed a una notevole perdita del patrimonio genetico caratteristico di questo paese.
Molto è stato fatto dopo il ’92 per migliorare la preservazione delle piante autoctone albanesi.
Atti non disponibili
L'uso dei botanicals nella tradizione d’uso della Romania e nella tradizione ayurvedica sono stati al centro degli interventi
di due rappresentanti del mondo accademico rumeno.
Mihaela Badea, della facoltà di medicina dell’Università della Transilvania di Brasov, ha illustrato la storia della Farmacopea
Rumena, dalla sua nascita nel 1862 fino alla pubblicazione dell’ultima edizione, la decima, nel 1993, di cui sono usciti 3
aggiornamenti (l’ultimo nel 2006). Nella X edizione sono citate 48 piante, di cui 34 piante tipiche rumene e 14 importate.
Tra queste non sono comprese alcune piante della tradizione d’uso della Romania (Calendula officinalis L., Echinacea spp., etc.),
che sono invece comunemente usate negli integratori alimentari. Si sta valutando quindi il loro inserimento nella
Farmacopea Rumena. Diverse sono le piante che crescono in modo spontaneo in varie parti del paese; tra esse l’olivello
spinoso (Hippophae rhamnoides L.), il rusco (Ruscus aculeatus L.) e l’edera (Hedera helix L.). Un’indagine condotta tra
gli studenti dell’Università di Brasov e un gruppo di adulti di età compresa tra 30 e 80 anni per valutare il grado di
percezione degli effetti benefici ottenuti dall’assunzione di integratori alimentari a base di olivello spinoso, ha
evidenziato come sia necessario condurre rigorosi studi scientifici per identificare meglio gli effetti benefici di
questa pianta e fornire informazioni più complete sui prodotti affinché i consumatori possano scegliere in modo più
consapevole.
Farmacopea Rumena - Una panoramica su 150 anni di utilizzo dei botanicals: il caso dell'Hippophae rhamnoide
Marilena Gilca della Facoltà di Medicina e Farmacia dell’Università di Bucharest, collabora con l’Istituto internazionale
indiano di piante medicinali allo studio delle piante della tradizione ayurvedica. Rispetto alla farmacologia classica,
l’approccio alla valutazione dell’efficacia di queste piante è esattamente l’inverso: si parte, infatti, dall’uso tradizionale
della pianta e della sua efficacia dimostrata nell’uomo, per poi confermarne gli effetti nell’animale e isolare le molecole
responsabili dell’effetto benefico. Così, sono stati, ad esempio, scoperti gli effetti antipertensivi della sarpagandha
(Rauwolfia serpentina) e ipolipidemizzanti del guggul (Commiphora mukul). I principi su cui si basa la tradizione ayurvedica
sono la correlazione degli effetti benefici di una pianta alle proprietà caldo (ushna)/freddo (shita) o al gusto percepito
a contatto delle papille gustative con la stessa (es. piccante: carminativo, digestivo; pungente: stimolante,
antinfettivo; etc.). Gilca ha seguito uno studio per valutare la correlazione tra le proprietà caldo/freddo di alcune
piante e gli effetti benefici sulla salute. Tra le piante studiate, il tulsi (Ocimum sanctum) conosciuto nella medicina
Indiana per i suoi effetti tonico-adattogeni.
L'uso dei botanicals nella tradizione ayurvedica e necessità di coltivazioni biologiche
Dall’Europa all’Asia, in particolare presso l’università di Tokushima, Giappone, dove
Licht Miyamoto e Hiroyuki Fukui stanno
studiando gli effetti benefici di alcune piante e prodotti della tradizione rurale giapponese: il tè Awa Bancha, prodotto
tipico della regione montuosa di Tokushima, ottenuto dalla fermentazione delle foglie di Camellia sinensis con batteri lattici,
e la scorza di sudachi (Citrus sudachi Hort. ex Shirai), un agrume coltivato proprio nella prefettura di questa città. Studi
clinici hanno dimostrato che il tè Awa Bancha, quando somministrato in associazione con un antistaminico, è in grado di ridurre
in maniera significativamente maggiore i sintomi dell’allergia al polline, rispetto al tè o al farmaco assunti singolarmente.
In uno studio condotto su un modello animale, l’estratto della scorza di sudachi ha, invece, mostrato buone capacità sul
controllo della glicemia e la sovraespressione del gene Sirt1 coinvolto nella regolazione del metabolismo energetico e noto
come gene della longevità.
A parlare di piante della medicina tradizionale cinese è stato Liu Xinmin, professore dell’Institute of Medicinal Plant
Development (IMPLAD) di Pechino, che dal 1986 è stato indicato dall’OMS come centro di riferimento a livello mondiale per
la medicina tradizionale cinese. Nell’istituto si conducono ricerche per lo sviluppo di farmaci e alimenti funzionali, ossia
alimenti con effetti benefici sulla
salute, molti dei quali contengono come ingredienti caratterizzanti piante o loro derivati.
Sono 114 le piante autorizzate in Cina all’uso negli alimenti funzionali, mentre 59 le piante proibite, tra le quali alcune a
rischio di estinzione. L’autorità di riferimento per questi prodotti, per i quali la legislazione cinese prevede l’obbligo
di registrazione, è la CFDA, il corrispettivo dell’FDA americana in Cina. Le analisi per il controllo della qualità, dell’efficacia
e della sicurezza degli alimenti funzionali in questo paese sono affidate a laboratori autorizzati.
Atti non disponibili
Il giro del mondo per conoscere gli usi tradizionali delle piante nelle diverse culture e popoli è proseguito con l’America Latina.
A presentare un progetto sulla valorizzazione della coltivazione del guaranà nativo presso la tribù indigena dei Saterè Mawè in
Brasile, è stata Valentina Pontorno, Qualità R&S di Ctm Altromercato, un consorzio la cui missione è quella di promuovere e
realizzare progetti di economia solidale in diverse parti del mondo,
finalizzate ad uno sviluppo sostenibile. Per proteggere
l’ecosistema amazzonico e salvaguardare la coltura del guaranà, pianta considerata sacra dalla tribù dei Saterè Mawè per le
sue proprietà benefiche sull’organismo, i produttori locali di questa specie si sono riuniti in un consorzio per controllare
e gestire meglio tutte le fasi della filiera produttiva dei semi di guaranà, dalla coltivazione alla raccolta, fino alla
torrefazione e macinazione. I semi di guaranà e loro derivati sono utilizzati per la produzione di alimenti e integratori
alimentari, il ricavato della cui vendita è utilizzato per sostenere tale progetto.
Il guaranà dei Sateré-Mawé, tribù indigena della Amazzonia Brasiliana
Ha chiuso il panorama sull’uso tradizionale delle piante nei vari paesi del mondo, il Sud Africa, con
Nomusa R. Dlamini, che
lavora presso il dipartimento di Scienze alimentari del CSIR (Council for Scientific and Industrial Research) di Pretoria,
importante centro di ricerca per lo sviluppo e l’innovazione scientifica e tecnologica di questo paese. In particolare,
Dlamini si occupa di studiare nuove fonti alimentari con peculiari proprietà nutrizionali e salutistiche, sfruttando anche
la straordinaria ricchezza e varietà di specie che caratterizzano la flora sudafricana. Studi sull’Amaranthus cruentus, una
pianta che cresce molto bene in Sud Africa, hanno dimostrato che le foglie essiccate di questa pianta contengono elevate
quantità di β-carotene, uno dei precursori della vitamina A. Il gruppo di ricerca di Dlamini sta studiando la formulazione
di nuovi alimenti con aggiunta di amaranto, utili per combattere il deficit di vitamina A nella popolazione infantile africana.
Il Sud-Africa applica già i principi del protocollo di Nagoya, per cui chi intendesse sfruttare la biodiversità genetica di
questo paese per ricerca o altri scopi, è obbligato a chiederne il permesso al paese.
Sfruttare la biodiversità e le conoscenze delle tribù indigene del Sud Africa per
produrre e commercializzare nuovi ingredienti naturali per l'alimentazione, la nutrizione e il benessere
L’incontro si è concluso con l’intervento di
Chlodwig Franz, professor emerito di medicina
veterinaria all’Università di Vienna,
che ha parlato dell’uso delle piante nei farmaci veterinari e nei mangimi. Diverse sono le sostanze vegetali impiegate in
Austria nella produzione di farmaci veterinari (ad oggi ne sono stati autorizzati 20 ai sensi della Direttiva (UE) 726/2004)
o come ingredienti o additivi per mangimi. Da un’indagine è risultato che camomilla, carciofo, cardo mariano, echinacea,
ginseng, iperico, timo e valeriana sono tra le specie maggiormente usate in Austria nella produzione di additivi alimentari
per mangimi, mentre calendula, camomilla, echinacea e ginseng di farmaci veterinari. Franz ha inoltre sottolineato,
portando evidenze dalla letteratura scientifica, come negli ultimi anni sia aumentato l’uso di rimedi naturali per il
trattamento di malattie animali: un estratto di semi di zucca si è dimostrato efficace nel ridurre l’iperplasia prostatica
nel cane, mentre con una miscela di estratti di 5 piante (Primula veris L., Gentiana lutea L., Sambucus nigra L., Rumex
acetosa L. e Verbena officinalis L.) e con un estratto di Petasites hybridus si è ottenuto un miglioramento della funzione
polmonare di cavalli con broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Il bando all’uso degli antibiotici nell’alimentazione animale nel 2006, ha spinto a trovare delle soluzioni alternative.
Tra esse l’uso di alcuni oli essenziali che, oltre a migliorare il sapore e la palatabilità dei mangimi, hanno mostrato
proprietà antibatteriche, anti-ossidanti e anti-metanogeniche.
I botanicals nella medicina veterinaria e nell'alimentazione animale
INTEGRATORI ALIMENTARI CONTENENTI BOTANICALS:
DAGLI ASPETTI SCIENTIFICI AGLI ASPETTI REGOLATORI
La sessione pomeridiana è stata dedicata all’uso dei botanicals negli integratori alimentari, con uno sguardo su aspetti
regolatori, dati di mercato e tradizione d’uso delle piante in Italia. Ha aperto il workshop Patrizia Restani dell’Università
di Milano, una delle organizzatrici del convegno, che ha illustrato alcuni dei risultati ottenuti dal progetto europeo
PlantLIBRA (PLANT food supplements: Levels of Intake, Benefit and Risk Assessment), conclusosi nel 2014, su diversi degli
aspetti da esso indagati. In particolare, ha mostrato alcuni risultati dell’indagine che ha coinvolto 6 paesi europei sulle
stime di consumo degli integratori alimentari a base di piante o estratti botanici, i dati pubblicati sugli effetti fisiologici
benefici di alcune piante e la raccolta dati, svolta in collaborazione con Centri anti-veleno, sugli eventi avversi associati
all’uso dei botanicals registrati.
Atti non disponibili
Della evoluzione del mercato degli integratori alimentari negli ultimi anni ha riferito
Laura Gatti, dell’IMS Health.
Da un’indagine condotta presso farmacie, parafarmacie e grande distribuzione, tra il 2012 ed il
2014, le vendite di
integratori alimentari in generale, compresi i prodotti a base di botanicals, hanno subito un incremento del 7,4%.
In Italia, gli integratori alimentari a base di piante coprono, in termini di fatturato, il 46% delle vendite totali,
e di volume il 43%. Tra i prodotti più venduti sono compresi gli integratori alimentari per favorire la digestione e il
transito intestinale (17,2%), per coadiuvare il sistema cardiovascolare (15,4%) e urinario (13,9%) e con effetto
tonico-adattogeno (9,6%).
Integratori alimentari contenenti botanicals: il mercato nazionale ed Europeo
Bruno Scarpa, Direttore dell’Ufficio IV della Direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione
del Ministero della Salute, che ha illustrato il percorso che ha portato le Autorità competenti di BELgio, FRancia e ITalia
a definire, in un ottica di armonizzazione europea in materia di botanicals negli integratori alimentari, la ben nota lista
BELFRIT. Ha inoltre evidenziato una serie di aspetti critici riguardanti l’applicazione del regolamento “claims” (CE)
1924/2006 e del Reg. (CE) 258/1997 sui novel food, soprattutto in riferimento alle piante.
Atti non disponibili
Maria Laura Colombo, del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’ Università di Torino, ha parlato di tradizione
d’uso delle piante “officinali”, terminologia in uso solo in Italia. Deriva, infatti, dal latino medioevale “opificina”
con il quale ci si riferiva a piccoli laboratori, sorti per lo più all’interno di monasteri, dove le piante erano trasformate
per produrre sciroppi, tinture, estratti solidi e liquidi, etc. Ha illustrato quindi una serie di usi tradizionali delle piante
in Italia a partire dagli antichi romani. Le carote (Daucus carota L.), ad esempio, che si
mangiano ora, nascono da un incrocio
e sono differenti dalle originali di colore “bianco sporco”, molto simili alle radici della pastinaca (Pastinaca sativa L.),
con cui spesso venivano confuse. Della pianta delle carote non si mangiavano le radici, ma le foglie che erano usate per le
loro proprietà aromatizzanti. Il prezzemolo (Petroselinum crispum A.W.Hil.) ha invece origini greche. La tradizione racconta
anche che la città di Selinunte in Sicilia prese il nome proprio dal prezzemolo selvatico (sélinon) che cresceva in quella
zona e la cui foglia venne impressa sulle monete. Gli antichi romani, oltre a considerarlo una pianta sacra, lo usavano anche
come “antidoto” per l’alito cattivo. Colombo ha poi mostrato altri esempi di come le piante venivano trasformate per
ottenere liquori o altri rimedi naturali, con effetti benefici per la salute, presso le “officine” dei monasteri e
com’è iniziato lo studio accademico delle piante presso i primi giardini botanici realizzati presso le università di
Padova, Firenze e Bologna durante il rinascimento. Tutti questi esempi sono serviti a sottolineare come il trasferimento
della conoscenza sulle tradizioni d’uso locali tra generazioni, sia un fattore determinante per supportare e validare
gli effetti fisiologici di una pianta o di un suo derivato.
L'uso tradizionale dei botanicals
Ultimo intervento della giornata, quello di Giuseppe Durazzo, esperto di Legislazione alimentare, che ha espresso la sua opinione
personale sull’uso delle informazioni volontarie sugli alimenti ai sensi dell’art. 35 del Reg. (UE) 1169/2011, tra etichetta
neutra, su cui l’azienda si limita a riportare le indicazioni obbligatorie ai sensi dell’art. 9, comma 1, del regolamento, e
l’uso eccessivo e, spesso, non appropriato, di informazioni volontarie.
Tra l'etichetta neutra e l'eccesso di comunicazione, gli obblighi di etichettatura nel primo anno del Reg. UE 1169/2011
La giornata si è conclusa con una tavola rotonda, alla quale sono stati invitati a partecipare rappresentanti dell’industria:
Fulvio De Caro, responsabile “Qualità” della Martin Bauer, azienda che opera nel settore delle erbe aromatiche e officinali,
estratti, tinture, macerati e derivati di origine vegetale per l’industria liquoristica, dolciaria ed alimentare;
Paolo Morazzoni,
direttore scientifico Indena, azienda leader nell'identificazione, sviluppo e produzione di principi attivi vegetali che
trovano impiego nell'industria farmaceutica, nutrizionale e cosmetica; René Roth-Ehrang, direttore Affari regolatori,
Assicurazione Qualità e Sviluppo del Prodotto per l’Europa di Amway, multinazionale leader nella vendita di prodotti per
la salute (alimenti, integratori alimentari, cosmetici, etc.); e Jiro Kasahara, dell’Università di Tukushima.
Dai rappresentanti aziendali conferma unanime alla necessità di porre maggiore attenzione alla qualità delle materie prime
e dei prodotti finiti, in quanto la qualità è un prerequisito per poter parlare di sicurezza; all’esigenza di armonizzare a
livello europeo la lista di piante autorizzate all’uso negli integratori alimentari così come gli apporti massimi giornalieri
di vitamine e minerali assumibili con
questi prodotti; di ipotizzare un sistema centralizzato di notifica e di vigilanza e di
sviluppare una ricerca scientifica mirata a migliorare la biodisponibilità dei principi attivi di origine vegetale.
Ricca di interventi e di temi affrontati, l’intera giornata è stata animata da un acceso dibattito con il pubblico che ha
seguito entrambe le sessioni con vivo interesse.
Tra gli argomenti che hanno suscitato maggior curiosità così come lasciato aperto lo spazio a molti dubbi interpretativi
vi è sicuramente il Protocollo di Nagoya, che è stato l’oggetto di numerose domande poste dai presenti. Dubbi che il
Ministero dell’ambiente, per bocca della sua rappresentante, si è dichiarato pronto a chiarire in tempi ragionevoli,
stante la necessità di renderlo applicabile anche in Italia entro ottobre 2015.
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