Convegno del 12 giugno 2015 |
|
Atti del convegno SISTE/CEC a EXPO Il
biologico per un futuro sostenibile |
12 giugno 2015 |
|
Il 12 giugno, presso Cascina Triulza, Expo Milano 2015, si è tenuto il primo dei due eventi
organizzati da SISTE (Società italiana delle scienze applicate alle piante officinali e ai
prodotti per la salute) con il Consorzio CCPB, organismo autorizzato dal Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali, alla certificazione e al controllo dei prodotti
nel settore della produzione biologica, sul tema “Il biologico per un futuro sostenibile”.
Rosa Maria Bertino, giornalista, curatrice della banca dati Bio Bank, ha moderato la discussione.
Il ruolo del “biologico per un futuro sostenibile” impone una definizione
e una riflessione su concetti
che sono alla base di un corretto percorso, come sottolineato da Stefano Di Marco (CNR Ibimet, Bologna)
nel suo intervento. La pratica agricola comporta un dispendio di risorse per imporre a un ecosistema
naturale che tenderebbe naturalmente ad essere popolato da milioni di specie vegetali, la crescita
della particolare specie che decidiamo di produrre. Il sistema attuale, spesso basato su culture
intensive genera squilibri facendo coesistere sotto-nutrizione e fame per centinaia di milioni di
persone, con milioni di decessi per malattie legate a obesità o sovrappeso, e miliardi di tonnellate
di cibo sprecato. Un riequilibrio e un’equa distribuzione di risorse consentirebbero l’accesso al cibo
per tutti, riconoscendo un diritto umano fondamentale e un maggior rispetto dell’ambiente. Occorre
operare dunque secondo il principio di sostenibilità, inteso come l’attitudine di un sistema a durare.
Il concetto di sostenibilità è mutuato dalla natura, che si mantiene attraverso la continua generazione
di diverse forme biologiche, le quali a loro volta svolgono ruoli funzionali alla sostenibilità
dell’intero sistema; la biodiversità è dunque l’elemento di attuazione della sostenibilità. L’agricoltura
biologica si basa sulla diversificazione dei sistemi, un’agro-biodiversità più affine a un sistema di
produzione dunque più sostenibile, dotato di maggiore adattabilità ai cambiamenti o eventi estremi.
Il cambiamento climatico è oggi la maggior fonte di preoccupazione; la produzione del cibo contribuisce ad
aggravare il cambiamento climatico, soprattutto attraverso l’utilizzo dei fertilizzanti chimici, della
zootecnia, dei reflui e della biomassa per la produzione di energia. L'agricoltura biologica può contribuire
alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici in diversi modi. L’uso di fertilizzanti organici
permette una migliore efficienza dei suoli, dotati di contenuti più elevati di sostanza organica e di
humus, consentendo anche una maggiore stabilità (effetto tampone), una minore erosione e soprattutto
una maggiore capacità di cattura di CO2 atmosferica. Il ridotto utilizzo di combustibili fossili e
l’adozione di corrette tecniche agronomiche (sovesci, rotazioni, tecniche di compostaggio, etc.)
consentono inoltre un ulteriore contributo al contrasto ai cambiamenti climatici con positivi
effetti sull’ambiente.
In sintonia con l’intervento di Di Marco, quello di Massimo Marino, ingegnere presso Life Cycle
Engineering (Torino), la cui attività è studiare il ciclo vitale dei prodotti della filiera agroalimentare
al fine di individuare i punti critici e trovare soluzioni atte a ridurre l’impatto ambientale della
produzione alimentare e limitare i rifiuti che ne derivano. Tutto ciò per raggiungere un obiettivo
assai complesso, ossia quello di una produzione alimentare sostenibile.
Nel complesso sistema della biodiversità rientrano anche le piante cosiddette officinali
(medicinali,
aromatiche e da profumo), che possono essere usate in qualsiasi tipologia di prodotti destinati al
consumo, siano essi alimenti, cosmetici, dispositivi medici, farmaci, mangimi e prodotti per animali
di vario genere, ma anche in biocidi, prodotti per la casa e per l’ambiente. Come sottolineato
da Marinella Trovato (SISTE) tutte le applicazioni nella filiera delle piante officinali sono
sostenibili ed hanno un valore aggiunto in termini di risultato, di produttività, di occupazione
e di ambiente. Coltivare, trasformare, produrre, vendere e usare i prodotti che derivano dalle
piante officinali, significa alimentare una catena che in tutti questi anni si è sostenuta da sola,
senza aiuti in termini finanziari da parte di nessuno e che può ancora crescere dando origine non
solo a prodotti di eccellenza ma anche producendo occupazione e reddito. Il biologico può essere
un valore aggiunto per la filiera delle piante officinali, in termini di rispetto per l’uomo
(agricoltore) e per l’ambiente, di sicurezza del prodotto per il consumatore, di recupero dei
valori e della tradizione. Tradizione che non deve essere intesa come ritorno al passato ma
come punto di partenza per prodotti innovativi.
La coltivazione delle piante officinali in Italia è tuttavia ancora basso,
come sottolineato da Matteo Cacciaglia (FIPPO), intervenuto alla tavola rotonda nelle veci del Presidente dell’associazione,
nonostante il territorio italiano, grazie alle differenti caratteristiche climatiche e geografiche che
caratterizzano la nostra penisola, da nord a sud, possa offrire delle enormi potenzialità in termini
di numerosità di specie e varietà di piante da coltivare, sostenendo quindi il concetto di biodiversità.
L’Italia importa circa l’85% del suo fabbisogno in termini di materie prime vegetali da paesi extra-europei
o da paesi dell’est Europa, dove i costi di produzione sono più competitivi, a fronte tuttavia di un
prodotto che dal punto di vista qualitativo è sovente inferiore a quello italiano.
Sebbene il
settore delle piante officinali in Italia fatichi ancora a crescere, nonostante possa rappresentare
per il nostro paese una risorsa significativa in termini economici, si stima che oggi il 41% della
superficie coltivata a officinali, quindi una parte rilevante, sia bio.
Per quanto riguarda le norme comunitarie sulla produzione biologica, come illustrato da
Fabrizio Piva
(CCPB), la Commissione europea ha presentato una proposta di riforma del Reg. (CE) n. 834/2007, che
mira ad alzare alcuni paletti tra cui: vietare le aziende miste, irrigidire il regime di equivalenza
per le importazioni da Paesi III, inserire soglie per i residui di pesticidi non ammessi al di sopra
delle quali non consentire la certificazione dell’alimento come bio. Tale proposta è tuttavia invisa
dalle principali associazioni europee del biologico e dalla maggior parte degli Stati Membri, che
vedono nella stessa un potenziale freno all’ulteriore
sviluppo di questo settore e che auspicano
pertanto che tale modifica non venga adottata e che si prediliga invece la strada dell’implementazione
dell’attuale regolamento. Diverso è il discorso per il cosmetico bio, per il quale la mancanza di una
norma specifica e l’esistenza di regole di certificazione private, non offre a aziende e consumatori
un sistema univoco di garanzia.
Alla domanda “Esiste il cibo perfetto?”, Marino, coautore di un libro dal titolo “Il cibo perfetto Aziende,
consumatori e impatto ambientale del cibo”, ha risposto negativamente. Ogni scelta alimentare ha conseguenze
complesse, con vantaggi e controindicazioni tanto per i consumatori quanto per l’ambiente.
Tutti i relatori sono stati concordi nell’affermare che sul biologico molto si deve ancora fare in termini di
comunicazione ed informazione al consumatore. “Il biologico non è una questione di fede – come ribadito
da Trovato – ma una metodologia di lavoro moderna e ricercata che obbliga chi la attua ad assumere un
maggior rischio di impresa”. Tuttavia, è anche importante che i prodotti biologici arrivino sul mercato
con prezzi più competitivi. Questo significa che le aziende che producono “bio” devono ambire a sistemi
di produzione più sostenibili, che permetterebbero anche di abbattere i costi di produzione. |
|
|
|
|
|