Convegno del 1O luglio 2015 |
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Atti del convegno SISTE/CEC a EXPO Allergie ed intolleranze alimentari |
10 luglio 2015 |
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Le reazioni avverse agli alimenti sono risposte cliniche anomale che si
verificano nell’organismo in seguito all’ingestione di un alimento. Alcune di queste reazioni possono avvenire in modo indistinto in tutti gli individui dopo assunzione di un alimento avariato perché contenente tossine o contaminanti microbiologici in quantitativo sufficiente ad innescare un evento avverso. Sono un esempio di reazioni definite “tossiche”, gli eventi associati al consumo di funghi velenosi, il botulismo, una grave tossinfezione alimentare causata dalla presenza di
Clostridium botulinum, prodotti ittici o vegetali conservati impropriamente in scatola, o la gastroenterite provocata da alimenti contaminati da
Salmonella spp.
Le reazioni “non tossiche”, invece, avvengono soltanto in individui particolarmente suscettibili e si distinguono in allergie e intolleranze alimentari. La differenza principale tra questi due tipi di reazioni consiste nel coinvolgimento del sistema immunitario, che media le manifestazioni cliniche tipiche delle allergie alimentari. Le intolleranze alimentari, come quella al lattosio, non sono invece associate a meccanismi di natura immunologica. Fa eccezione la celiachia, ovvero l’intolleranza al glutine, la cui associazione al sistema immunitario è avvenuta in tempi successivi alla denominazione.
Si è parlato di “Allergie e intolleranze alimentari” lo scorso 10 luglio ad Expo, durante il terzo appuntamento del ciclo di convegni “Alimentazione, salute e benessere”, organizzati da SISTE in collaborazione con CEC editore.
All’evento hanno partecipato, in qualità di relatori, medici, ricercatori, rappresentanti di associazioni di pazienti allergici e celiaci e dell’industria alimentare.
Marco Silano, primo ricercatore e direttore del reparto di alimentazione, nutrizione e salute presso il dipartimento di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità, si
occupa di individuare i meccanismi infiammatori ed autoimmuni della malattia celiaca e della loro inibizione/prevenzione al
fine di individuare terapie alternative alla dieta senza glutine. Nel suo intervento Silano ha spiegato che la celiachia è
una malattia multifattoriale nella cui patogenesi sono coinvolti sia fattori ambientali (esposizione al glutine) che
costitutivi (predisposizione genetica). I soggetti predisposti a sviluppare questa malattia appartengono a due genotipi
specifici, DQ2 e DQ8, ma non tutti si ammalano, ad indicare quindi che probabilmente sono altri i fattori che determinano
l’insorgenza della celiachia. Esistono diverse forme di celiachia: quella classica caratterizzata da scarso accrescimento,
diarrea e distensione addominale, è la forma più conosciuta della malattia, ma forse quella con minor incidenza.
A prevalere sono le forme atipiche (sintomatologia varia: dalla stipsi all’alopecia, dall’anemia sideropenica alla
dermatite erpetiforme), latenti (soggetti con predisposizione genetica, ma mucosa digiunale nella norma) e silenti
(senza sintomatologia, ma test clinici positivi). Oggi si parla tanto di “gluten sensitivity”, molto di moda anche
tra lo show business. Non esistono, tuttavia, prove (nessun dato su una possibile predisposizione genetica, non
esistono marker sierologici da ricercare per la diagnosi, nessuna terapia efficace, etc.) a conferma della reale
esistenza di questo tipo di intolleranza, che ad oggi si basa solo sui sintomi clinici riferiti dal paziente e
sull’autoconvincimento. Lo dimostrano i risultati di uno studio in doppio cieco con il controllo del placebo, in
cui su 60 soggetti dichiaratisi “sensibili al glutine”, che hanno assunto glutine in capsule, solo per 2 individui
è stata confermata una diagnosi di celiachia. Silano, nel suo intervento, ha sfatato molti falsi miti:
- l’aumento della prevalenza di “intolleranze al glutine” non è legata ad un aumentato consumo di questo complesso
proteico, dal momento che non esiste alcun dato che correli l’assunzione di cereali contenenti glutine alla
“gluten sensitivity”.
- I grani ancestrali non sono tollerati dai celiaci, in quanto anch’essi contengono glutine.
- L’aumento della prevalenza di “intolleranze al glutine” non è legata alle moderne tecniche di coltivazione
del grano.
Celiachia e dieta senza glutine: tra verità scientifiche e falsi miti
Grandi passi sono stati fatti, sotto l’aspetto giuridico, dal 1982 ad oggi, per migliorare la condizione di vita dei celiaci e delle persone affette da dermatite erpetiforme:
Decreto Ministeriale 1.7.1982 (erogazione gratuita dei prodotti senza glutine),
Decreto ministeriale 18 maggio 2001, n. 279 (riconoscimento della dermatite erpetiforme tra le malattie rare, per le quali sono previste esenzioni nelle prestazioni sanitarie),
Legge 4 luglio 2005, n. 123 (erogazione di pasti senza glutine nelle mense pubbliche e attività di formazione e aggiornamento professionali rivolte a ristoratori e ad albergatori). A questi importanti traguardi si è giunti anche grazie alle pressioni dell’AIC (Associazione Italiana Celiachia), associazione nata nel 1979 con lo scopo di permettere alle persone affette da celiachia o da dermatite erpetiforme di vivere la propria vita in modo sereno e consapevole, promuovendo iniziative atte a rimuovere tutte quelle situazioni di diversità e disagio che interessano tali soggetti facendo crescere il senso civico e l’attenzione sociale nei confronti di questa patologia. Ha rappresentato l’AIC al convegno,
Caterina Pilo, direttore generale dell’associazione dal 2002.
Dal 2001 al 2015, grazie anche alla crescente attenzione dell’industria alimentare nei confronti dei celiaci e allo sviluppo di prodotti “gluten-free” con un profilo sia nutrizionale che tecnologico sempre più innovativo, il numero di prodotti dietetici senza glutine notificati al Ministero della salute e inseriti nel registro nazionale, quindi erogabili a titolo gratuito attraverso il Servizio Sanitario Nazionale con un tetto di spesa mensile che varia da regione a regione, è aumentato del 94%. Nel 2014, la spesa complessiva stimata per questi prodotti ammontava a 320 milioni di euro, con il 44,6% derivante da vendite in farmacia, il 25,6% dalla grande distribuzione e il 29,8% da negozi specializzati. Nel 2013, i casi di celiachia diagnosticata in Italia erano 164.492 mila (29% maschi, 71% femmine), 16 mila in più rispetto all’anno precedente. Questi dati, come sottolineato anche da Silano, non indicano un aumento dei casi di celiachia in Italia, ma il fatto che l’uso di test diagnostici sempre più accurati consente di diagnosticare più facilmente anche le forme atipiche, silenti o latenti della malattia celiaca.
Con l’entrata in applicazione del Reg. (UE) 609/20131, che andrà a sostituire da luglio 2016 la Direttiva 2009/39/CE2, i prodotti senza glutine non saranno più compresi tra i prodotti destinati ad una alimentazione particolare. Tale provvedimento abroga inoltre il Reg. (CE) 41/20093 che armonizza le informazioni fornite ai consumatori sull’assenza o sulla presenza ridotta di glutine (“senza glutine” e “con contenuto di glutine molto basso”) nei prodotti alimentari destinati alle persone intolleranti al glutine, informazioni che passeranno sotto la disciplina del Reg. (UE) 1169/2011, in quanto indicazioni volontarie, e che saranno fornite nelle modalità stabilite dal Reg. (UE) 828/20144. AIC non condivide tale decisione, in quanto con questo provvedimento il legislatore europeo ha disconosciuto la vulnerabilità dei celiaci e il valore della dieta senza glutine, mutando la figura del celiaco da paziente, che necessità di seguire una terapia dietetica specifica, a mero “consumatore”. A fronte di questo “grave” errore giuridico, le Istituzioni nazionali hanno già dato la loro piena disponibilità affinché il sistema oggi in vigore di tutele e garanzie per i celiaci non sia smantellato dal nuovo assetto normativo europeo.
AIC ritiene che sulla celiachia vi sia ancora molta disinformazione. Patologie ancora sconosciute come la “gluten sensitivity” e la moda di togliere il glutine dalla dieta di individui sani perché “fa male”, rischiano di creare confusione tra chi, avendo una diagnosi confermata di celiachia, necessita di seguire una terapia dietetica specifica ed ha diritto, come tale, ad un sostegno economico da parte dello Stato, e chi elimina il glutine dalla dieta per una scelta alimentare personale, quanto discutibile.
Le future sfide che vedono AIC impegnata per una sempre maggior tutela dei pazienti celiaci riguardano la riduzione dei costi dei prodotti “gluten-free”, ancora troppo alti; il favorire una maggiore e più funzionale diversificazione dei canali distributivi e puntare alla sostituzione dei buoni cartacei con quelli elettronici, al fine di consentire, oltre al risparmio di carta e di tempo, anche un controllo più trasparente della spesa sanitaria pubblica.
La dieta senza glutine non è una moda: essere celiaci oggi
Massimo Alfieri è presidente da giugno 2015 di “Federasma e Allergie Onlus”, nonché Presidente dell’Associazione Ligure Allergici”.
“Federasma e Allergie Onlus” è una federazione a cui aderiscono
16 associazioni nazionali di pazienti che operano in rete su tutto il territorio italiano per tutelare le persone affette da asma, malattie allergiche (respiratorie, alimentari, lattice, farmaci, imenotteri, etc.), dermatite atopica e orticaria. Missione della federazione: favorire la costituzione di nuove associazioni di volontariato da parte di gruppi di pazienti affetti da asma e allergie, loro familiari o simpatizzanti, fornendo loro indicazioni sulla corretta gestione e sviluppo delle associazioni di volontariato; promuovere la raccolta e la divulgazione delle informazioni su studi e ricerche relativi a prevenzione, eziopatogenesi, terapia, etc., delle patologie allergiche e respiratorie; supportare le associazioni aderenti nell’organizzazione di convegni, workshops, incontri, etc.; formazione degli associati.
“Federasma e Allergie Onlus” aderisce e partecipa, inoltre, a diversi gruppi di lavoro, costituiti dai rappresentanti di associazioni di pazienti di vari Paesi europei, tra cui il “Food Allergy Working Group”, fautore di due tra le novità introdotte dal Reg. (UE) 1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, ossia l’evidenziazione in etichetta nella lista ingredienti delle sostanze causa di allergie o intolleranze, anche per gli alimenti non preconfezionati e la dimensione minima dei caratteri. Tra le principali fonti di ansia per i pazienti allergici l’eccesso di etichettatura precauzionale “può contenere tracce di…”, che, oltre a ridurre la possibilità di scelta del consumatore allergico, è visto dai pazienti e dai loro famigliari come il voler scaricare, da parte delle aziende, ogni possibile responsabilità in caso si verifichino reazioni avverse a seguito dell’ingestione di loro prodotti. Se, in taluni casi, l’uso di queste diciture precauzionali può avere senso (es. tracce di noci in un pacchetto di noccioline), in altri casi è del tutto fuorviante (es. tracce di noci in una bottiglia di limonata).
Civiltà,
cultura, alimentazione e allergie: dall’iva ai ristoranti
Le allergie alimentari colpiscono l’1-2% degli adulti e il 5-8% dei bambini. Si tratta di reazioni avverse a molecole estranee all’organismo (allergeni), nello specifico a proteine contenute naturalmente negli alimenti, mediate dal sistema immunitario. La forma allergica più conosciuta è quella mediata dagli anticorpi di classe IgE. L’allergia alle proteine del latte vaccino insorge nei primissimi mesi di vita del bambino, quando, nell’impossibilità di allattare al seno, si è costretti ad optare per l’allattamento artificiale. Le formulazioni in commercio hanno come componente di base il latte vaccino, la cui composizione è modificata attraverso opportuni processi tecnologici, al fine di renderla il più affine possibile a quella del latte materno. Per i neonati che sviluppano allergia al latte vaccino, il mercato offre oggi diverse alternative dietetiche (formule a base di proteine del latte vaccino parzialmente o estensivamente idrolizzate, miscele di amminoacidi liberi, etc.). A rappresentare il mondo industriale nella giornata dedicata a “Allergie e intolleranze alimentari”,
Marco Oreglio, responsabile Assicurazione Qualità Mellin e Nutricia Italia, aziende leader nella produzione di alimenti per lattanti e nello sviluppo di soluzioni nutrizionali per la gestione clinica di pazienti in età pediatrica ed adulta affetti da patologie, per le quali il trattamento dietetico è a volte l’unica risoluzione possibile. Oreglio si è soffermato, in particolare, sulle procedure tecniche e le misure (sistema HACCP) adottate dall’azienda per evitare il problema delle contaminazioni crociate che potrebbero portare ad avere tracce più o meno significative di allergeni in alimenti, quali gli alimenti a base di cereali e altri alimenti destinati a lattanti e a bambini, nei quali non ne è prevista la presenza come ingredienti.
L’industria alimentare e le esigenze dei soggetti allergici ed intolleranti
Quali sono i fattori che predispongono all’insorgenza delle allergie alimentari e non? A questa domanda ha risposto
Alessandro Fiocchi, uno dei più affermati tra i medici allergologi italiani in
ambito pediatrico, dal 2012 direttore del Dipartimento di Allergologia presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Negli ultimi anni, l’asma e le allergie sono in aumento e diverse sono le evidenze scientifiche che dimostrano come tale incremento sia correlato a diversi fattori sia sociali che ambientali. Si è osservato infatti che l’incidenza dell’asma e di patologie allergiche è più elevata nei paesi industrializzati, con un reddito medio pro-capite più alto, nelle famiglie appartenenti alle classi sociali più elevate, nelle famiglie con pochi figli (l’atopia, ovvero la tendenza a sviluppare reazioni allergiche, è una “piaga” dei primogeniti), nelle aree maggiormente urbanizzate e minore in campagna, e, dai risultati di uno studio non ancora pubblicato, nei paesi dove esiste una maggior disparità di reddito. Questi dati di fatto dimostrano come l’incidenza delle malattie allergiche sia maggiore nelle società industrializzate caratterizzate da una maggior attenzione all’igiene e da una bassa natalità.
Negli ultimi anni, diverse sono le evidenze scientifiche che sostengono come l’uso dei probiotici possa essere un importante fattore di prevenzione per lo sviluppo di dermatite atopica e altre patologie allergiche, sia se assunti dalle madri in gravidanza e durante l’allattamento, che se somministrati direttamente al neonato sotto forma di alimenti o di integratori alimentari. Nonostante questi dati necessitino di ulteriori conferme, le linee guida WAO (World Allergy Organization) consigliano di seguire questo approccio. Esistono pareri contrastanti su quanto possa concorrere all’insorgenza della patologia allergica l’incontro precoce con gli antigeni alimentari, a partire dal 4°-6° mese di vita. Tuttavia, un recente studio clinico, condotto in Inghilterra, ha dimostrato che l’assunzione di arachidi a partire dal 4° mese di vita fino a 5 anni, è in grado di ridurre in modo significativo, rispetto al gruppo controllo non trattato con il legume, la frequenza di sviluppare allergia all’arachide nei bambini sia ad elevato rischio di atopia che non sensibilizzati.
Attualità sulle
allergie alimentari
Al ruolo benefico che i probiotici potrebbero rivestire nella prevenzione delle patologie allergiche è stato dedicato l’ultimo intervento della giornata, quello di
Patrizia Malfa, Persona Qualificata (QP) della Proge Farm srl di Novara, coordinatrice della produzione e del controllo di qualità della filiera di
produzione dei fermenti lattici.
Il GALT (Tessuto Linfoide Associato all’Intestino) gioca un ruolo importante nel bilancio tra tolleranza e sensibilizzazione, che rappresenta il primo passo nello sviluppo della patologia allergica, in quanto le IgA secretorie prodotte da questo complesso sistema a seguito della stimolazione da parte di un antigene, impediscono, in condizioni normali, l’assorbimento delle molecole antigeniche a livello sistemico. Numerosi studi in vitro hanno dimostrato che i microrganismi probiotici, attivando particolari meccanismi a livello del sistema immunitario intestinale, sono in grado di modulare una risposta immunitaria capace di ridurre i fenomeni di ipersensibilità e di infiammazione, che portano allo sviluppo delle patologie allergiche. Tali evidenze scientifiche solo state tuttavia confermate solo in parte in studi clinici in vivo. La discordanza nelle risposte ottenute può dipendere da diversi fattori quali il tipo di ceppo microbico utilizzato, la qualità dei prodotti probiotici testati, la dose, la durata del trattamento e la forma in cui i probiotici sono somministrati. Criticità di cui i ricercatori dovranno tener conto nel disegno dei futuri protocolli di studio. I risultati di alcuni studi clinici hanno dimostrato che specifici ceppi probiotici sono efficaci nel ridurre il rischio di eczema, atopia, asma e dermatite atopica, solo quando somministrati precocemente, ossia nel terzo trimestre di gravidanza e durante l’allattamento al seno nelle donne e nei primi mesi di vita del bambino. Tali risultati necessitano comunque di ulteriori conferme.
Probiotici e
allergie
Molti gli spunti di riflessione e le curiosità tratte dai diversi interventi dei
relatori che hanno dato vita.
Al termine della giornata, ad un breve, seppur proficuo, dibattito. Visto
l’interesse che queste tematiche hanno suscitato nei partecipanti al convegno e
la grande confusione che regna oggi nella popolazione generale in merito alle
differenze tra allergie e intolleranze alimentari, l’auspicio è che siano
organizzati incontri con il pubblico per fornire informazioni chiare e corrette
che aiutino il consumatore medio a distinguere le verità scientifiche dai falsi
miti.
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